IL MIO GIARDINO PERSIANO

Regia:Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha
Cast: L. Farhadpour, E. Mehrabi, M. Heidari (II), M. Ilkhani

Trama

Vedova da una trentina d’anni, la settantenne Mahin non ha mai voluto risposarsi e da quando la figlia è partita per l’estero vive sola a Teheran nella sua grande casa con giardino. Stanca della solitudine, dopo un pranzo con le amiche, che l’hanno spinta a cercare la compagnia di un uomo, Mahin avvicina l’anziano tassista Faramarz, ex soldato anche lui destinato a restare solo, e con gentilezza lo invita da lei per passare una serata insieme. L’incontro inaspettato si trasformerà per entrambi in qualcosa d’indimenticabile.

Recensione

La protagonista Mahin, non più giovane ma ancora viva, è tenuta al suo posto di donna sola e reticente dalle regole più o meno scritte della società islamica e piccolo borghese a cui appartiene. Lo dimostrano l’hijab che è costretta a indossare, le sbrigative conversazioni al telefono con la figlia, i dialoghi con l’amica ipocondriaca, la condiscendenza degli uomini al ristorante, la curiosità della vicina impicciona che ha sentito una voce maschile nel suo appartamento…Significativamente, la voglia di riprendere a vivere, di cercare la compagnia di un uomo e combattere la solitudine, per la donna passa attraverso la rivendicazione della sua esistenza e della sua figura nel mondo esteriore: come quando, nell’unico momento esplicitamente militante del film, si oppone all’arresto da parte della polizia morale di una ragazza rea di non indossare correttamente il velo. “Fatti sentire”, dice Mahin alla giovane dopo averla salvata, “più tu accetti il loro potere, più loro ti schiacceranno”. Riconducibile in apparenza a una dimensione privata, la scelta di Mahin di invitare un uomo in casa sua e spendere con lui la serata più bella delle rispettive vite, ha in realtà un contenuto chiaramente politico: Mahin e Faramarz si chiudono al mondo, nello splendido giardino della donna, e lì vivono la loro libertà fatta di vino illegale, balli e, forse, una torta alla crema, contro ogni forma d’intrusione del potere. Le immagini confezionate dai due registi sono precise, il più delle volte fisse, altre volte invece mosse da lenti movimenti di camera; la luce è netta; i contrasti tra l’oscurità e la luce non creano il dramma ma illustrano al contrario il sottile mutamento del rapporto d’amicizia e forse d’amore fra i due protagonisti. A un certo punto, nella storia di Mahin e Faramarz, ogni cosa sembra pure avere un proprio posto nel mondo, una sua giustezza che dà senso alle cose. La sceneggiatura è del resto ricca di eco interne, di rime fra scene e parole che rimandano all’idea del passaggio e del cambiamento: dalla morte alla vita, dal passato al presente, dal dentro al fuori, dal sopra al sotto la terra. Ed è proprio lì, nel gioco di contrasti e passaggi poi bruscamente interrotto, che si gioca il destino di Mahin. Un destino beffardo, ingiusto, anche un po’ gratuito se lo si pensa in termini meramente narrativi, ma che abbraccia in pieno la visione critica dei due registi: come a dire che in Iran, in questo Iran ottuso e forse decadente, non c’è redenzione per nessuno, nemmeno per chi prova a essere libero, felice e innamorato almeno per una sera.

Data

Giovedì 29 Giu.
Martedì 03 Giu.

Orario

Giovedì: 18.30 - 21.15
Martedì: 16.00-18.30-21.15

Genere

Commedia

Durata

97 minuti

IN abbonamento

Incluso in abbonamento