Regia: Marco Bellocchio
Cast: E. Sala, L. Maltese, P. Pierobon, F. Russo Alesi, B. Ronchi
Bologna, 1858. Edgardo Mortara, un bambino ebreo di quasi sette anni, viene sottratto alla sua famiglia e consegnato al “Papa Re” Pio IX. La motivazione ufficiale fornita dal Diritto canonico è che a sei mesi il bambino era stato battezzato e dunque non può che ricevere dalla Chiesa cattolica un’educazione che lo “liberi dalle superstizioni di cui sono imbevuti gli ebrei”. I genitori di Edgardo, Momolo e Marianna, non si rassegnano e continuano a cercare di riavere il figlio, sollevando un caso internazionale che vedrà schierati contro il Papa la comunità ebraica mondiale, la stampa liberale e persino Napoleone III. Ma Pio IX non teme la disapprovazione di nessuno, rispondendo alle richieste di restituire Edgardo alla sua famiglia con un “non possum” e il sorriso serafico di chi si ritiene al sopra delle umane regole. E nonostante il clima sia quello risorgimentale la Chiesa rimane inamovibile, contando sulla sua sedicente inviolabilità.
La fonte letteraria è “Il caso Mortara” di Daniele Scalise, cui si ispira la sceneggiatura di Bellocchio e Susanna Nicchiarelli, è la perfetta ricostruzione di quel tempo, ricco di dettagli che ci calano in quel mondo controllato da un potere temporale ubiquito. L’antisemitismo della Chiesa si manifesta con virulenza, ma al di là dell’aderenza storico-politica e dei contrasti religiosi, questa storia è fatta per Bellocchio perché racconta il trauma esistenziale di un’identità negata, e le storture che tale diniego provoca nella vita degli uomini. Numerose e ripetute sono le situazioni in cui un essere umano viene umiliato: lo strisciare del capo della comunità ebraica romana o il bacio del pavimento della chiesa, con tanto di leccate, sono degni di un film carcerario, di quelli in cui la mortificazione dei sottoposti viene esercitata per ribadirne la condizione sottomessa. “Rapito” è un film di una violenza non grafica ma efferata, tanto più grottesca e terribile perché perpetrata con quel senso di titolarità moralista che è al centro di ogni oppressione (non a caso il rapimento di Edgardo viene organizzato da un ex inquisitore) e sostenuta da una struttura di potere che nega o minimizza la gravità di ogni sua scelta con un “non è successo niente”. È violenta la paletta cromatica del film, a cominciare dal sigillo rosso sangue con cui viene ratificato il destino di Edgardo, è violento il contrasto caravaggesco fra le poche luci e le molte ombre; e supremamente violento è l’atto di strappare un figlio alla madre. Il padre di Edgardo, pur ben intenzionato, non ha la forza ferina di sua moglie, né la sua lucidità nel rifiutare compromessi. Ronchi e Fausto Russo Alesi sono molto efficaci nei ruoli dei genitori, ma il film appartiene ai due interpreti di Edgardo, il bambino Enea Sala e Leonardo Maltese. L’inflessibilità della Chiesa appare lastricata di buone intenzioni e di cieca obbedienza che portano a liquidare ogni nefandezza con il moto “pace e bene” e l’affermazione di agire “per il bene altrui”, senza riconoscere la differenza fra Bene e Male. “Rapito” è un horror ammantato di carità cristiana, un “miserere nobis” che cancella ogni colpa con una formula assolutoria. “Ci vorrebbe Attila”, si dirà ad un certo punto, davanti a tale bigottismo, e la regia muscolare di Bellocchio manda altrettanto a gambe all’aria ogni convinzione precostituita e auto legittimante, rifiutando radicalmente ogni sistema di potere basato sul senso di colpa in cui il regista stesso è stato immerso, e dal quale non potrà mai prescindere del tutto, come emerge con chiarezza dal suo cinema.
26 Ott. 2023
30 Ott. 2023
- Giovedì: 18.30 - 21.15
- Lunedì: 16.00 - 18.30 - 21.15
Drammatico
134 minuti
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